Steven Johnson, studioso di scienze cognitive e divulgatore degli sviluppi delle nuove tecnologie, inizia con questa citazione il suo libro Tutto quello che fa male ti fa bene – Perchè la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti dove contesta la diffusa e storica opinione secondo cui televisione, videogiochi e (recentemente) mondi virtuali, siano colpevoli dell'impoverimento culturale delle nuove generazioni. Se, paradossalmente, i videogiochi fossero stati inventati prima dei libri, nel momento in cui i bambini li abbandonassero presi dalla frenesia per la lettura, probabilmente (secondo l'autore) i commenti di insegnanti, genitori e autorità culturali sarebbe che leggere libri sottostimola cronicamente i sensi; non immette in un mondo tridimensionale, pieno di immagini in movimento e paesaggi sonori; attiva soltanto una piccola parte del cervello dedicata all’elaborazione del linguaggio scritto, mentre i videogiochi impegnano l’intera gamma delle cortecce sensoriali e motorie. I libri inoltre portano tragicamente a isolarsi, costringono il bambino a rinchiudersi in uno spazio silenzioso, lontano dall’interazione con altri bambini.
Ma forse la caratteristica più pericolosa è il fatto che seguono un percorso lineare fisso, non è possibile controllarne la narrazione in alcun modo: ci si siede semplicemente in disparte e la storia viene imposta, facendoci sentire impotenti di cambiare gli eventi.
Leggere non è un processo attivo, partecipatorio; è un processo remissivo. I lettori di libri della generazione dei giovani imparano a “seguire la trama” invece di imparare a condurla.
Per quanto riguarda la Tv Johnson prova a smontare il presunto declino sociale cercando di dimostrare che dal secondo dopoguerra in poi (e cioè da quando ha iniziato la diffusione di massa della TV) le nostre società divengono progressivamente più complesse e di conseguenza l’intelligenza media non può che essere aumentata. Johnson è convinto che la TV ha contribuito ad aumentare le nostre facoltà cognitive, e ciò sarebbe avvenuto non necessariamente attraverso la diffusione di programmi educativi intenzionalmente progettati a scopo culturale, ma anzi, e forse meglio, con programmi di puro e semplice intrattenimento, anche quelli prodotti per essere graditi al grande pubblico… Secondo Johnson la TV ci impegna ad un lavoro di decodifica del linguaggio televisivo che nel corso degli anni, adeguandosi alle mutate realtà sociali, diviene progressivamente più complesso. Gli artifici linguistici sono molteplici, ma il più significativo consiste nella rappresentazioni di trame narrative che, col tempo, sono divenute multiple e più complesse. Queste trasmissioni sollecitano a tenere conto di innumerevoli fattori, a ipotizzare relazioni, a cercare di scoprire cosa succederà dopo, a chiedersi come ci si comporterebbe nelle medesime situazioni: una palestra cognitiva che allena la nostra intelligenza sociale.
La provocazione di Johnson fa riflettere perché la maggior parte delle analisi psicologiche, sociali, culturali sulla TV si concentrano sui contenuti trasmessi e quindi sui modelli, valori, insegnamenti impliciti, occulti, subliminali che questi veicolano. Ma proviamo a tralasciare il contenuto e interroghiamoci adesso sull’“effetto collaterale” della TV, l’effetto al quale forse McLuhan alludeva con lo slogan il medium è il messaggio. Che effetto cognitivo produce la TV e come trasforma la nostra mente?
Ritorniamo un attimo a McLuhan: l'espressione divenuta famosa che il medium è il messaggio probabilmente intende sottolineare che ogni medium crea nuove formae mentis: McLuhan aveva intuito l'importanza che il mezzo ha nel modo di veicolare un messaggio, non tanto per il modo di organizzare un contenuto ma per le caratteristiche strutturali con cui, quel medium, organizza la comunicazione. Così, come la ferrovia non ha introdotto il movimento ma ha allargato le possibilità delle forme di trasporto già esistenti, modificando gli spazi abitativi (città) con nuove funzioni, allo stesso modo le trasmissioni televisive creano una nuova forma mentis a prescindere del fatto che venga trasmesso un film violento, un documentario o un programma per bambini.
Nel corso degli ultimi 50 anni sicuramente la TV ha contribuito all'unificazione linguistica, a creare il senso di appartenenza al gruppo con una consistente crescita (acritica?) delle relazioni interpersonali e delle capacità comunicative basate su confronti, riflessioni, valutazioni e interpretazioni, ma oltre a tutto ciò, oltre i modelli culturali veicolati, la televisione ha creato una nuova dimensione simbolica in cui il predominio culturale della scrittura è stato messo in discussione da una oralità secondaria (Ong), in cui la narrazione/comunicazione è fatta di suoni ed immagini.
La presenza della televisione è così rilevante da essere un vero spartiacque, nell'immaginario collettivo, tra ciò che esiste e ciò che non esiste perché essa, più degli altri media, per facilità d'uso, realismo e immediatezza è un medium trasparente che occulta la mediazione.
Inoltre non bisogna dimenticare che la TV ha un effetto rassicurante e dà consistenza al bisogno degli individui di socializzare e di appartenere. Un po', forse, quello che il buon McLuhan intendeva dire quando diceva che il medium è (anche) il massaggio.
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